« … Non fate nulla per rivalità o vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso. Ciascuno non cerchi l’interesse proprio, ma anche quello degli altri. Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù …» (Fil 2-1-11)
« … Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: “Figlio, oggi va’ a lavorare nella vigna”. Ed egli rispose: “Non ne ho voglia”. Ma poi si pentì e vi andò. Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: “Sì, signore”. Ma non vi andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?» (Mt 21, 28-32)
La Parola di Dio di questa XXVI domenica del Tempo per annum ci richiama alla nostra personale responsabilità nella risposta da dare al Signore. Abbiamo la responsabilità di salvare o perdere noi stessi con la nostra obbedienza o disobbedienza. Non basta dire “Signore, Signore” (Cfr Mt 7, 21-23), l’obbedienza che ci è richiesta deve essere autenticata dalle opere. Non basta neanche avere avuto la grazia di rispondere “sì” una volta: il nostro si va confermato ogni giorno.
Spesso noi battezzati, “gente di chiesa”, corriamo il rischio di trovarci nella stessa situazione dei capi dei sacerdoti e anziani del popolo a cui si rivolge oggi Gesù: abbiamo detto sì al Signore con il nostro Battesimo; abbiamo confermato questo sì con la Cresima; molti di voi nel Matrimonio hanno detto sì a quello che hanno riconosciuto come la loro specifica vocazione e via di santità; io ho detto sì al Signore nella vocazione religiosa e sacerdotale; tra poco tutti insieme, come ogni domenica, diremo al Signore: “Credo …”; infine, tra non molto, ricevendo l’Eucarestia, uniremo sacramentalmente la nostra vita a quella di Gesù nell’offerta per la salvezza del mondo … A tutti questi nostri “sì” abbiamo sempre fatto seguire le opere corrispondenti? Questi nostri sì, sono realmente maturati nella conversione, nell’amore per Lui messo al centro della nostra vita? O non sono piuttosto motivati dalla ricerca del nostro io, dal desiderio della ricompensa e dalla paura del castigo?
... voi dite: “Non è retto il modo di agire del Signore”. Chissà quante volte anche noi abbiamo osato giudicare perfino Dio pretendendo di sapere meglio di Lui ciò che è giusto/sbagliato. Per questo oggi Gesù ci parla di “convertirsi per credere”: per credere dobbiamo lasciare la mentalità del mondo e accogliere la logica del Vangelo; dobbiamo smettere di “sentirci a posto” per lasciare che il Padre ci mostri la giusta via (quante volte mi sento dire: “io non faccio peccati … io sono più cattolico del Papa”!).
Convertirsi, inoltre, significa anche cambiare la motivazione alla nostra obbedienza: non “la legge per la legge” (perché: “fatta la legge, trovato l’inganno”), ma l’amore per il Padre e per i fratelli; non un’obbedienza legale, ma un’obbedienza d’amore. Solo così potremo realmente scoprire quanto bisogno abbiamo di pentimento. Diversamente sarà facile cadere nell’errore di “sentirsi a posto”: “Non ho ammazzato nessuno, non ho rubato …”; ma ci siamo interessati dei fratelli in difficoltà? Abbiamo fatto attenzione a non diffamare il fratello mettendo in piazza il suo errore? Ci siamo comportati sempre onestamente o magari abbiamo ceduto alla logica del “così fan tutti”?
Nella seconda lettura di oggi S. Paolo ci esorta ad avere “gli stessi sentimenti di Cristo”, il quale è mosso dall’amore per il Padre e i fratelli, e ci prescrive qualche comportamento pratico: «Non fate nulla per rivalità o vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso. Ciascuno non cerchi l’interesse proprio, ma anche quello degli altri». Proviamo a prendere sul serio questa Parola e, confidando nella misericordia del Padre, cerchiamo di compiere “ciò che è giusto e retto” per giungere a quella pienezza di Vita che Cristo è venuto a donarci.
Ci troviamo nel primo giorno del triduo in preparazione alla festa di S. Francesco d'Assisi e voglio concludere con una sua Ammonizione circa l'imitazione del Signore: «Guardiamo, noi tutti frati, il buon pastore che per salvare le sue pecore sostenne la passione della croce. Le pecore del Signore lo seguirono nella tribolazione e nella persecuzione e nell’ignominia, nella fame e nella sete, nell’infermità e nella tentazione e in altre simili cose e ne ricevettero dal Signore la vita eterna. Perciò è grande vergogna per noi servi del Signore il fatto che i santi operarono con i fatti e noi raccontando e predicando le cose che essi fecero ne vogliamo ricevere onore e gloria.» (Amm. VI, FF 155)
Fr. Marco