« … comportatevi in maniera degna della chiamata che avete ricevuto, con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità, sopportandovi a vicenda nell’amore, avendo a cuore di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace.» (Ef 4,1-6)
«“C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?” … erano circa cinquemila uomini. Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, quanto ne volevano. … riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d’orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato.» (Gv 6,1-15)
In questa XVII domenica del Tempo ordinario la Parola continua il racconto della “cura pastorale” di Gesù verso le folle. Domenica scorsa abbiamo ascoltato che Gesù ha compassione della folla: “sono come pecore senza pastore” e Lui, il Vero e Buon Pastore, si mette a insegnare, dà loro la guida di cui hanno bisogno per giungere ai “pascoli” della Vera Vita. Questa domenica la liturgia sceglie di continuare il racconto rivolgendosi, però, al vangelo di Gv più ricco di simboli: l’erba su cui viene fatta sedere la folla, simbolo dei pascoli a cui il buon pastore conduce il gregge; la simbologia eucaristica dei gesti e delle parole di Gesù; le dodici ceste avanzate simbolo delle “dodici colonne” del nuovo popolo di Dio.
Oltre alla presentazione di Gesù come il Vero Pastore, il “profeta” atteso che attualizza i gesti di Mosè nell’esodo (Cfr. Dt 18,18), al centro della Parola odierna è anche la necessità della condivisione.
È Gesù l’indiscusso protagonista del brano evangelico: è lui che prende l’iniziativa di nutrire la folla; è ancora lui che, provocatoriamente, pone la domanda su come sfamare la folla (richiamando quella di Mosè in Nm 11,13); ed è, in fine, lui che distribuisce il pane ed il pesce. Perché il miracolo si compia, tuttavia, Gesù chiede la collaborazione dell’uomo: si fa consegnare i cinque pani e due pesci, il poco posseduto da un ragazzo presente.
Solo a partire da questo gesto di condivisione di chi non tiene per sé il poco che possiede, ma è pronto a donarlo con generosità, è possibile il miracolo che tutti abbiano da mangiare. La “logica del mondo”, improntata all’egoismo, insegna: «meglio uno sazio che cento digiuni»; la logica evangelica, invece, ci insegna a donare con generosità, a “perdere”, per amore: solo chi dona, infatti, possiede veramente; solo il pane condiviso è capace di saziare quella “fame” che nessun pane potrà mai saziare: la fame di amore, di fraternità, di comunione.
Ancora oggi Gesù si prende cura dei suoi: è ciò che avviene ad ogni celebrazione eucaristica in cui veniamo nutriti alla duplice mensa della Parola e dell’Eucarestia. Ed ancora Gesù chiede la collaborazione della pochezza umana per potere compiere il suo miracolo. All’offertorio, insieme al pane ed al vino, siamo chiamati a presentare a Gesù ciò che essi significano: il nostro lavoro quotidiano, la nostra stessa vita, “la gioia e la fatica di ogni giorno”. È tutto questo che Lui moltiplica e “trasforma” per donarci se stesso, il Suo Corpo e Sangue che ci nutre per la vita eterna e ci da la forza per unire la nostra vita alla Sua offerta per la salvezza del mondo.
Lo facciamo sacramentalmente durate la celebrazione, ma siamo poi chiamati a viverlo esistenzialmente uscendo dalle nostre chiese: siamo chiamati, sull’esempio del Maestro, a fare della nostra vita un dono d’amore; a non farci fermare dalla nostra pochezza: fidiamoci del Signore che la farà sovrabbondare. Siamo chiamati, infine, a “sopportarci nell’amore” gli uni gli altri: a sostenere la debolezza del fratello/sorella che il Signore mi ha messo accanto, a sorreggerlo e a custodirlo. Se faremo così Vivremo pienamente e il mondo resterà affascinato dal nostro Maestro.
Fra Marco