Non aggiungerete nulla a ciò che io vi comando e non ne toglierete nulla; ma osserverete i comandi del Signore, vostro Dio, che io vi prescrivo.» (Dt 4,1-2.6-8)
«Accogliete con docilità la Parola che è stata piantata in voi e può portarvi alla salvezza. Siate di quelli che mettono in pratica la Parola, e non ascoltatori soltanto, illudendo voi stessi.» (Gc 1,17-18.21-22.27)
«Bene ha profetato Isaìa di voi, ipocriti, come sta scritto: “Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini”. […] Ascoltatemi tutti e comprendete bene! Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro» (Mc 7,1-8.14-15.21-23)
In questa XXII domenica del tempo ordinario, la Parola ci esorta alla religione pura e senza macchia (Cfr seconda lettura), a non comportarci da ipocriti, a non “fare cose per il Signore” avendo il cuore lontano da Lui.
È questo infatti che Gesù rimprovera oggi a scribi e farisei: attenti all’osservanza scrupolosa della legge e delle tradizioni dei padri, hanno il cuore pieno di se stesi e della loro presunta giustizia, un cuore in cui non c’è posto per Dio e per i fratelli. Può accadere anche a noi: facciamo “cose” per il Signore, appariamo santi e devoti, ma in realtà siamo ripiegati sui noi stessi, vogliamo che gli altri notino (e magari lodino) la nostra “perfezione”. Può capitare persino che facciamo belle preghiere (perché gli altri notino quanto siamo “profondi”?), ma non siamo disposti a perdonare chi ci fa un torto, siamo litigati con tutto il parentado …; magari siamo anche disposti a dare qualcosa ai bisognosi, purché però sia ben evidente la nostra generosità!
Il Maestro oggi ci esorta a fare attenzione a dove è rivolto il nostro cuore. Dobbiamo ammettere, tuttavia, che difficilmente controlliamo il nostro cuore. Quanti vorrebbero smettere di bere troppo e non riescono a farlo? Prendiamo anche il noto esempio del grande santo della Chiesa dei primi secoli, il cui cuore fu così diviso, per molti anni, da spingerlo a pregare così: “Signore rendimi casto, ma non subito!” (Sant’Agostino). Quanti vorrebbero disfarsi dell’invidia e dell’orgoglio e, invece, si sorprendono a fare il contrario? Spesso scopriamo che il nostro cuore è schiavo delle passioni. Comprendiamo allora il grido di san Paolo: “Sono uno sventurato! Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte?” (Rm 7,24).
Oggi san Giacomo, nella seconda lettura, ci indica la strada per permettere alla redenzione di Cristo di raggiungerci: «Accogliete con docilità la Parola che è stata piantata in voi e può portarvi alla salvezza». È lo stesso invito che risuona nella prima lettura: «Ora, Israele, ascolta le leggi e le norme che io vi insegno, affinché le mettiate in pratica». L’ascolto presuppone relazione: si può ascoltare solo se si ha difronte qualcuno che parla. Ecco che cosa chiede il Signore da noi: la relazione, il metterci sinceramente difronte a Lui perché Lui possa insegnarci la Via della Vita.
San Giacomo, infine, ci dà un’altra importante indicazione: «Religione pura e senza macchia davanti a Dio Padre è questa: visitare gli orfani e le vedove nelle sofferenze e non lasciarsi contaminare da questo mondo.» È la concreta attenzione verso chi non ha nulla con cui ricambiarci, verso gli ultimi del mondo, che rende autentico il nostro amore per Dio.
Due cose di questo pensiero vorrei sottolineare, la prima è: «davanti a Dio Padre». Torna l’esigenza della relazione autentica con Dio. Ciò che facciamo, non lo facciamo davanti la gente per essere ammirati; non lo facciamo neanche davanti a noi per accrescere l’immagine che abbiamo di noi stessi e autocompiacerci («come sono generoso!»). Il servizio agli ultimi è fatto davanti a Dio Padre, quel Padre Nostro dinanzi al quale siamo tutti fratelli; quel Padre nostro del quale vogliamo santificare il nome perché agiamo come suoi strumenti; quel Padre nostro, infine, che vogliamo compiacere animati dall’amore di figli che corrispondono l’amore del Padre.
L’altra cosa che volevo sottolineare è l’attenzione a non lasciarsi contaminare da questo mondo. È l’attenzione alla mondanità da cui spesso ci mette in guardia anche Papa Francesco. Può capitare che cominciamo a pensare come “il mondo” e non “secondo Dio”. In quel caso cominceremo a volere “aggiornare” l’insegnamento del Vangelo: «Nel 2015 si può ancora pensare così? La chiesa si deve aggiornare!». Nella prima lettura ascoltiamo un’ammonizione che è attualissima: «Non aggiungerete nulla a ciò che io vi comando e non ne toglierete nulla». Una tentazione sempre presente quella di “aggiornare” i comandi del Signore eliminando quelli che ci danno fastidio, che riteniamo ormai obsoleti, per sostituirli magari con altri che ci disturbano meno e che ci fanno sentire a posto. Vi siete accorti come coprendo tutto con un mal inteso concetto di “amore” («Love is love!») si vuole aggiornare la morale sessuale? Avete notato l’eccessiva attenzione animalista dei nostri giorni? Può capitare di incontrare fratelli che si schierano a difesa degli animali, ma chiedono il respingimento degli immigrati; fratelli che combattono la sperimentazione sugli animali, che magari hanno scelto di diventare vegetariani, ma dinanzi ad una gravidanza non programmata «… insomma è solo un grumo di cellule!».
Ascoltiamo, allora, ciò che ci chiede il Signore, mettiamolo in pratica senza togliere ne aggiungere nulla a ciò che il Signore ci ha chiesto. Guardiamoci dalla contaminazione del mondo vivendo la nostra religione pura e senza macchia con un cuore rivolto al Signore e docile alla Sua Parola.
Fr. Marco