«Carissimi, vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! Per questo il mondo non ci conosce: perché non ha conosciuto lui.»(1Gv 3,1-2)
«Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore.» (Gv 10,11-18)
In questa quarta domenica di Pasqua Gesù si autorivela come il “bel pastore” (letteralmente): il pastore ideale, quello vero, contrapposto al mercenario il quale è interessato solo a “pascere se stesso” (Cfr. Ez 34) e non alle pecore che gli sono affidate.
È questa la differenza fondamentale che fa da discrimine tra il vero (bello/buono) pastore e coloro che lo sono solo in apparenza: la capacità di donare la vita per le “pecore” che gli appartengono. Il mercenario non “conosce” le pecore, non è interessato a loro, ma solo a se stesso e al proprio guadagno; il Pastore, invece, “conosce” coloro che gli appartengono, è interessato a loro. Gesù, inoltre, oggi manifesta pienamente la Sua Libertà: «io do la mia vita … Nessuno me la toglie: io la do da me stesso». Il dono della vita in obbedienza al Padre è l’atto di più grande libertà di Gesù.
«conosco le mie (pecore) e le mie (pecore) conoscono me». Il testo greco in questo versetto 14 non usa il termine “pecore”, ma soltanto l’aggettivo “mie” («Conosco le mie e conoscono me le mie») che diventa in tal modo ciò che ci identifica: gli apparteniamo.
Un’altra sottolineatura va fatta sul modo in cui il buon pastore ci conosce: «Come il padre conosce me». Vale la pena allora di chiedersi in che modo il Padre conosce il Figlio: con una comunione d’amore inscindibile che li rende “una cosa sola”. Il buon pastore, allora, ci conosce con una “conoscenza d’amore” che ci unisce a Lui: nel battesimo, infatti, siamo stati uniti inscindibilmente a Lui, nella Comunione Lui ci unisce alla Sua passione morte e resurrezione … Lui ci conosce, ha unito la Sua vita alla nostra, ci ama per quello che siamo, non per quello che appariamo o che dobbiamo essere. Lui ci vuole felici. Il mondo, invece, non ci “conosce”, non ci ama, non può renderci felici, ci costringe troppo spesso ad essere ciò che non siamo …
Solo Gesù è il vero/buon Pastore. S. Pietro oggi nella prima lettura è chiaro: «In nessun altro c’è salvezza». Non seguiamo quindi altri “pastori” che non vogliono (e non potrebbero) darci la Vita.
Fin qui abbiamo visto ciò che contraddistingue il buon pastore, ma ora vorrei soffermarmi brevemente sulla caratteristica distintiva di chi gli appartiene (“le mie”): «Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore.». L’ascolto obbediente e la comunione reciproca: ecco che cosa ci deve caratterizzare se Gli apparteniamo. Ecco da cosa possiamo riconoscere se siamo Suoi, se viviamo secondo la grazia del nostro Battesimo: da figli di Dio.
Oggi è anche la 52° giornata mondiale di preghiera per le vocazioni: sappiamo che tutti siamo chiamati alla santità (la vocazione universale), ma a questa ciascuno è chiamato per una “via” personalissima. La nostra piena realizzazione, la nostra felicità, dipende dalla capacità di comprendere e realizzare questo personale progetto d’amore. Oggi vorrei invitarvi a pregare in maniera particolare per coloro che il Signore chiama ad essere suoi collaboratori nel ministero pastorale (i presbiteri) e per coloro che sono chiamati ad essere segno profetico della totale dedizione al Regno (le persone di vita consacrata: frati e suore). A ogni cristiano, ma a loro in maniera particolare, il Signore chiede di fare della propria vita un dono giorno per giorno, di dimenticarsi di sé (rinnegare se stessi), per amore di Dio e dei fratelli. Tutto ciò, lo sperimentiamo, non è facile, ma è l’unica strada che sbocca nella piena realizzazione, nella Gloria eterna. Vi chiedo quindi di sostenerci l’un l’altro in questo cammino perché, restando ciascuno di noi fedeli alla vocazione che abbiamo ricevuto, possiamo giungere alla Pienezza della Vita per l’eternità.
Fra Marco.