«Fratelli, non siate debitori di nulla a nessuno, se non dell’amore vicendevole; perché chi ama l’altro ha adempiuto la Legge. … La carità non fa alcun male al prossimo: pienezza della Legge infatti è la carità.» (Rm 13,8-10)
«Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello … se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà.» (Mt 18,15-20)
La Parola di Dio di questa domenica, XXIII del tempo per annum, ci presenta un modo particolare di vivere l’amore vicendevole, la carità che è la pienezza della Legge: la correzione fraterna, quella correzione, cioè, che si fa per amore del fratello avvisandolo che sta sbagliando, che si sta perdendo, perché ritorni sui suoi passi e si salvi.
Come abbiamo ascoltato nella prima lettura, il Signore richiama il profeta Ezechiele alla sua responsabilità nei confronti della rovina del malvagio che non desiste dalla sua condotta malvagia perché questa non gli è stata rimproverata. Il malvagio morirà per la sua iniquità, ma della sua morte sarà domandato conto al profeta che non ha compiuto il suo dovere di parlare come inviato di Dio.
Oggi, nella Nuova ed Eterna Alleanza, tutti i cristiani, conformati a Cristo nel Battesimo, siamo unti Re, Sacerdoti e Profeti. Ne consegue che ogni battezzato è chiamato ad ascoltare e annunciare ai fratelli la Parola di Dio perché si salvino. Dinanzi ad un fratello che pecca, che fa ciò che è male agli occhi di Dio, il cristiano non può “farsi i fatti suoi”; sarebbe colpevole di omissione, non avrebbe vissuto il vero amore per il fratello disinteressandosi della sua rovina.
È questo il senso della “correzione fraterna” che è tale solo se mossa dall’amore, dal desiderio di guadagnare il fratello, non di umiliarlo (esaltando, magari, la nostra “giustizia”); né per vendicarsi di presunti torti subiti. Il fratello va corretto per amore e con amore. A fondamento della nostra correzione quindi deve esserci quella carità che non fa alcun male al prossimo. Siamo chiamati ad essere sentinelle, custodi dei nostri fratelli, non “accusatori”. L’accusatore è il diavolo (Cfr. Ap 12,10) che vuole la rovina degli uomini, la loro disperazione.
Va’ e ammoniscilo fra te e lui solo. È questa la differenza pratica e visibile tra accusatore e custode: l’accusatore è pronto ad additare gli errori, ma ne parla sempre in terza persona, con gli altri, non con il fratello che sbaglia. Il discepolo di Cristo, invece, custode del proprio fratello, non ha alcuna intenzione di lederne il buon nome e, quando lo vede sbagliare, lo ammonisce con amore e discrezione. Non dimentichiamo che lo scopo della correzione è sempre e solo guadagnare il fratello. Anche gli altri due passaggi che il Vangelo oggi ci indica (i testimoni e la comunità) sono ordinati a questo scopo: convincere il fratello del proprio errore perché si converta. L’ultimo passaggio, infine, Sia per te come il pagano e il pubblicano, è l’extrema ratio per “scuotere” il fratello e correggerlo: rendere visibile che il suo comportamento lo pone fuori dalla comunità ecclesiale. Il pagano e il pubblicano, inoltre, sono coloro ai quali si indirizza l’annuncio missionario: “convertitevi, il regno dei Cieli è vicino”.
Se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo … Penso che sia importante sottolineare che l’insegnamento sulla correzione fraterna si conclude con l’annuncio che la preghiera concorde sarà esaudita. Dinanzi al peccatore impenitente, che non vuole convertirsi e, quindi, si pone fuori dalla Chiesa, ai discepoli di Cristo rimane sempre la possibilità della preghiera per guadagnare il fratello. Il Signore li esaudirà.
Ti ho posto come sentinella Vorrei concludere ricordando che questo ruolo di custode e sentinella è di ogni cristiano nel luogo in cui vive, ma anche della Chiesa nel suo insieme. La società attuale vorrebbe relegare la vita di fede ad un fatto privato, da vivere nel nascondimento: “Puoi vivere e credere come ti piace, purché lo faccia a casa tua!”. La Chiesa (in particolare il magistero) spesso è stata accusata di ingiusta ingerenza se annuncia che alcuni comportamenti, che la società vorrebbe fare passare per normali e “giusti”, sono contrari alla Verità, sono malvagi. Penso, per esempio, all’aborto, all’eutanasia, alla eugenetica, al modo di vivere la propria sessualità sganciata dalla verità inscritta nella creazione … Siamo chiamati ad annunciare ciò che ascoltiamo dalla Parola, non possiamo tacere. Ce ne verrà chiesto conto.
Fr. Marco