«Fratelli, voi non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi. Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene.» (Rm 8, 9.11-13)
«Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero» (Mt 11,25-30)
In questa XIV domenica del TO la Parola ci presenta il nostro Re umile che chiama a se quelli che gli appartengono perché, imparando da Lui l’umiltà e la mitezza, possano avere ristoro, salvezza e vita. Il tema dell’umiltà, infatti, torna sia nella prima lettura che nel Vangelo. La seconda lettura, invece, ci raccomanda di non vivere secondo la carne, ma secondo lo Spirito di Cristo.
Si tratta sostanzialmente dello stesso appello all’umiltà: vivere secondo la carne, infatti, nel linguaggio di Paolo, significa vivere secondo l’uomo vecchio tutto dedito a cercare il proprio piacere, la propria “gloria” (spesso “vana-gloria”), a gonfiare orgogliosamente il proprio io. Il comportamento opposto a quello che il Salvatore ci ha mostrato ed insegnato.
Vivere secondo lo Spirito di Cristo, quindi, significa lasciare che lo Spirito, effuso nei nostri cuori, ci guidi alla Verità. Alla verità su noi stessi e alla verità su Dio. Solo lasciandoci guidare alla verità saremo realmente umili: consapevoli di ciò che siamo (con le nostre miserie e i doni da condividere e fare fruttificare) e della misericordia infinita che il Padre ha per noi.
Perché lo spirito possa guidarci alla verità, alla “conoscenza” del Padre che il Figlio ci ha donato (che è comunione con Dio), però, è necessario rinunciare ad ogni pretesa di virtù, di autoreferenzialità, di sapienza “carnale”; farci “piccoli”, disposti a lasciarci guidare e ad imparare; riconoscere la nostra piccolezza e che tutto abbiamo ricevuto per grazia dal Padre.
Facciamo attenzione, inoltre, che l’umiltà che oggi siamo invitati ad imparare è l’umiltà “di cuore”, quella autentica, che riguarda il nostro centro esistenziale, non “la maschera” che ogni tanto indossiamo a condizione, però, che nessuno osi correggerci. L’umiltà, infatti, è una virtù particolare: quando pensiamo di possederla, dimostriamo il contrario.
Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra. Il primo frutto che rende visibile l’umiltà è la gratitudine. Se entriamo nella verità di noi stessi, se riconosciamo che tutto abbiamo ricevuto per grazia, non potremo che sentire nascere in noi la gratitudine per il Padre che ci ama gratuitamente ed incondizionatamente. Solo perché, umili, inoltre, potremo essere “miti”: docili alla volontà del Padre e misericordiosi verso i fratelli. Consapevoli, infatti, di quanto amore misericordioso il Padre continuamente riversa su di noi, saremo disponibili ad abbandonarci al Suo amore e a compiere la Sua volontà e avremo uno sguardo misericordioso verso i fratelli che, come noi (e forse meno di noi) sbagliano a causa della debolezza umana.
Liberati dal peso dell’orgoglio e della maschera di presunta perfezione che a volte indossiamo, abbracciati al “giogo d’amore” del Salvatore, troveremo infine ristoro dalle nostre oppressioni e gusteremo la dolcezza di camminare dietro il nostro Maestro.
Fra Marco