«Fratelli, sapendo che l’uomo non è giustificato dalle opere della legge ma soltanto per mezzo della fede in Gesù Cristo, abbiamo creduto anche noi in Gesù Cristo per essere giustificati dalla fede in Cristo e non dalle opere della legge; poiché dalle opere della legge non verrà mai giustificato nessuno.» (Gal 2,16)
«… Per questo ti dico: le sono perdonati i suoi molti peccati, poiché ha molto amato. Invece quello a cui si perdona poco, ama poco”. Poi disse a lei: “Ti sono perdonati i tuoi peccati”…» (Lc 7, 36 – 8,3)
In questa undicesima domenica del Tempo Ordinario, la Parola di Dio ci parla di peccato e di perdono. Nella prima lettura Davide è messo davanti la gravità del suo peccato: un adulterio che lo conduce all’omicidio. Nel Vangelo troviamo una peccatrice che con il solo toccare un maestro lo avrebbe reso “impuro”. Per entrambi ci sono parole di perdono. Un perdono gratuito, immeritato: nel racconto evangelico resta l’ambiguità se l’amore segue o precede il perdono.
La condizione di questo perdono ce la descrive S. Paolo nella seconda lettura: la fede in Gesù Cristo e la consapevolezza di essere incapaci di salvarci per i nostri meriti. “Fede in Gesù Cristo”, infatti, come fede in Dio, non significa (solo) credere che esiste. Ma credere alla Sua Parola, credere che mi ama fino a morire per me e mi ha salvato.
Simone il fariseo, descritto nel racconto evangelico, è schiavo della propria “giustizia”; osserva la legge scrupolosamente e per questo si innalza su un piedistallo fino quasi a fare di Dio un suo debitore: “Io ho osservato tutto ciò che hai comandato, ora tu mi devi dare la ricompensa che ho meritato”. La peccatrice, come Davide nella prima lettura, non ha “meriti” su cui fare leva, non accampa scuse per giustificarsi, ma riconosce il suo peccato fidandosi (avendo fede) del Maestro.
I farisei, infatti, deformano il senso della legge: questa era data a custodia del Patto d’amore tra Dio e il suo popolo (“Io sarò il tuo Dio e tu sarai il mio popolo” cfr Lev 26,12); ora diventa uno strumento per esigere da Dio un “salario”.
«Ho peccato contro il Signore». Non è questo l’atteggiamento che dovrebbe animare il nostro cuore ogniqualvolta preghiamo la preghiera che Gesù ci ha insegnato? «… Rimetti a noi i nostri debiti …». Non abbiamo meriti/crediti da fare valere dinanzi al Signore; anzi ci riconosciamo debitori impossibilitati a pagare, ma ci fidiamo del Suo Amore.
Giustificati gratuitamente dall’amore, riempiti dal Suo Amore (lo Spirito effuso nei nostri cuori), ecco che diveniamo capaci di osservare la Legge Nuova, la legge della Amore a Dio e ai fratelli che, lungi dall’annullare la legge antica, la porta a pienezza.
Concludo citando S. Teresa di Gesù Bambino: «Mio caro fratellino, da quando è stato concesso di comprendere l’amore del Cuore di Gesù, confesso che l’amore ha cacciato dal mio cuore ogni timore! Il ricordo delle mie colpe mi umilia, mi porta a non appoggiarmi più sulla mia forza, che è solo debolezza. Ma più ancora questo ricordo mi parla di misericordia e di amore. Quando si gettano le proprie colpe con fiducia tutta filiale nel braciere divorante dell’amore, come potrebbero non essere consumate per sempre?» (scrivendo a Don Bellière, un suo “fratello missionario”).
Fr. Marco