«Accoglietevi perciò gli uni gli altri come anche Cristo accolse voi, per la gloria di Dio.» (Rom 15, 4-9)
«Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino! … Fate dunque un frutto degno della conversione, e non crediate di poter dire dentro di voi: “Abbiamo Abramo per padre!”» (Mt 3, 1-12)
La Parola di oggi ci presenta i due precursori per eccellenza: Isaia e Giovanni il Battista. Essi sono gli araldi del Signore, coloro che invitano il popolo a prepararsi ad accogliere il Signore che viene.
Nella prima lettura Isaia profetizza la venuta del Signore come un evento che dà speranza dove sembra non esservi più alcuna speranza. L’immagine è quella di un albero secolare abbattuto: la sua vita è finita; dalle radici però spunta un pollone, un germoglio dal quale tutto può ricominciare. La venuta del Signore è perciò oggi presentata come un evento di speranza. Un evento gioioso. Quello presentatoci da Isaia è un Dio che si piega sull’umanità disperata; un Dio che si “converte” a noi.
A questo Dio che si piega su di noi con amore misericordioso, noi siamo chiamati da Giovanni il Battista a rispondere con la nostra conversione: Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino! Siamo chiamati a correggere le nostre strade, a percorrere strade rette per incontrare il Signore che viene. Cosa significa convertirsi? Significa cambiare direzione alla nostra vita, “correggere la rotta”. La nostra vita è come una nave in balia dei venti e delle correnti: se non correggiamo continuamente la rotta tenendo fisso lo sguardo sulla “stella polare”, rischiamo di fare naufragio, di fallire, di vivere una vita senza senso.
Per fare questo bisogna sempre tenere lo sguardo fisso al Signore “che viene, che è venuto e che verrà”, e correggere tutti quei moti che ci spingono invece verso il nostro Io: egoismo, superbia, vanagloria ecc.
Fate dunque un frutto degno della conversione. Giovanni ci esorta ad una conversione che abbia ricadute concrete, visibili, una conversione che porti frutti. Non basta dire: “Sono cristiano. Vado a messa quasi ogni domenica”. Non basta dire “Appartengo al gruppo/comunità/fraternità …” . Ciò che è veramente importante è l’avere accolto nella propria vita il Signore e i fratelli; imparare a rinnegare costantemente il proprio Io per fare spazio al Tu di Dio e del fratello bisognoso. La nostra conversione deve tradursi in opere buone fatte a gloria di Dio. Opere fatte “senza che la destra sappia ciò che fa la sinistra”.
Prendendo spunto da S. Paolo, mi permetto di suggerire un esercizio per crescere nel decentramento: impariamo a dire “Grazie”. Principalmente a Dio per tutto ciò che ci dona. In tal modo riconosceremo che tutto è dono di Dio, di nostro abbiamo solo il peccato. Impariamo a dire grazie ai fratelli. Ci aiuterà a ricordarci che ciò che loro ci danno o fanno per noi non ci è dovuto: non siamo il centro del mondo!
Fra Marco.