«Fratelli, un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come figli della luce; ora il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità. … Non partecipate alle opere delle tenebre … ma piuttosto condannatele apertamente.» (Ef 5,8-14)
«… sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: “Va’ a lavarti nella piscina di Sìloe”, che significa Inviato. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva. … “Tu, credi nel Figlio dell’uomo?”. Egli rispose: “E chi è, Signore, perché io creda in lui?”. Gli disse Gesù: “Lo hai visto: è colui che parla con te”. Ed egli disse: “Credo, Signore!”» (Gv 9, 1-41)
La Parola di questa domenica (in laetare), invitandoci a rallegrarci (cfr. antifona d’ingresso), ci presenta la simbologia della Luce. La luce è ciò che ci permette di riconoscere le cose, di dare un senso a ciò che abbiamo davanti; è ciò che ci permette di orientarci e di distinguere le distanze. Al buio, infatti, tutto risulta indistinto e non di rado sbagliamo direzione e le distanze. La tenebra è antropologicamente il simbolo del caos, del non senso, della morte. Ecco perché fa paura.
Gesù, nel contesto della festa delle capanne caratterizzata dall’abbondanza di luminarie, si presenta come la Luce del mondo. La luce nella quale i ciechi tornano a vedere, ma che manifesta la cecità di coloro che la rifiutano. I quarantuno versetti che compongono il brano evangelico di oggi sono ricchi di simboli e tematiche, ma credo sia importante, facendoci guidare dalle altre due letture, fare emergere il tema principale del brano che è quello battesimale.
Nella risposta di Gesù ai discepoli che chiedono chi ha peccato perché quest’uomo sia nato cieco, il Maestro non si pronunzia sul legame peccato-malattia, ma evidenzia che la sofferenza/cecità è costitutiva dell’uomo lontano da Dio. Dopo la disobbedienza delle origini, ogni uomo che nasce è malato/cieco, bisognoso di una luce che non può darsi dal solo. Gesù si presenta oggi come il medico celeste che viene a guarire la radice delle nostre infermità. Nel cieco-nato, quindi, possiamo riconoscere ogni uomo bisognoso della Luce per comprendere il senso della propria esistenza.
Non è casuale che, per operare la guarigione del cieco, il Signore ricorra al fango: avviene come una nuova creazione (cfr. Gen 2,7). Come in una nuova creazione, Gesù oggi “separa” la luce dalle tenebre (cfr Gen 1,1-5) per ridurre il Caos (il non senso della vita) al Cosmo: una vita piena di senso in cui tutto è ordinato al giusto fine.
La guarigione del cieco-nato è simbolo anche di ciò che è avvenuto in noi: nelle acque del battesimo anche noi siamo ri-creati, siamo stati guariti, siamo stati illuminati, ci sono stati aperti gli occhi per vedere e riconoscere il Signore che opera nella nostra vita. Anche noi siamo diventati “inviati” (cfr. il nome della piscina) a portare questa luce al mondo con le nostre opere da figli della luce.
La luce della fede che ci è stata donata nel battesimo, infatti, ci permette di vedere la realtà con occhi nuovi, capaci di scorgere il senso profondo delle cose; capaci di vedere non l’apparenza, ma il “cuore” della realtà (cfr. I lettura). La luce che è in noi, inoltre, scaccia la paura generata dalle tenebre. Conosciamo la Verità, sappiamo di avere un Padre che ci ama al di là di ogni nostra immaginazione. Per questo possiamo e dobbiamo senza timore denunciare il non senso delle “opere delle tenebre”, di quelle che s. Paolo chiama opere della carne: «fornicazione, impurità, libertinaggio, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere» (Gal 5, 19-21). Gesù stesso ci ha messi in guardia «Bada dunque che la luce che è in te non sia tenebra.» (Lc 11,35)
Fra Marco.