«Figlio mio, tu rimani saldo in quello che hai imparato e che credi fermamente.» (2Tm 3,14 – 4,2)
«… Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?». (Lc 18, 1-8)
Già dal primo versetto del vangelo di questa settimana possiamo comprendere quale insegnamento Gesù vuole darci: la necessità di pregare sempre senza stancarci. Nella preghiera, infatti possiamo trovare la vittoria contro il “nemico” (l’unico nemico dei figli di Dio: il diavolo) che vuole allontanarci dalla Vita vera. Nella preghiera possiamo ottenere ciò di cui abbiamo bisogno.
In questo mio breve commento, però, voglio prendere le mosse dalla conclusione del Vangelo: la domanda di Gesù: «il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?». Stancarsi di pregare, infatti, significa non avere più fede/fiducia, convincersi che la nostra preghiera è inutile, che Dio non ci ascolta e che “dobbiamo salvarci da soli”.
Che cos’è la preghiera, infatti, se non espressione della nostra fede? L’espressione di un cuore di figlio che si fida e si confida con il Padre dal quale si sa amato? Così S. Giovanni Crisostomo parla della preghiera: «La preghiera, o dialogo con Dio, è un bene sommo. È, infatti, una comunione intima con Dio. Come gli occhi del corpo vedendo la luce ne sono rischiarati, così anche l’anima che è tesa verso Dio viene illuminata dalla luce ineffabile della preghiera. Deve essere, però, una preghiera non fatta per abitudine, ma che proceda dal cuore. Non deve essere circoscritta a determinati tempi od ore, ma fiorire continuamente, notte e giorno.»
«Quando pregate, non sprecate parole come i pagani, i quali credono di venire ascoltati a forza di parole». Così ci ammonisce Gesù nel vangelo di Matteo. La preghiera non è questione di parole, non è una “formula magica” con la quale convinciamo Dio a darci ciò che vogliamo (una volta mi hanno chiesto una novena a P. Pio, “ma che funzioni!”). Chi prega in questa maniera dimostra di non avere fede in Dio: non sa (o almeno non ci crede veramente) che Dio è il Padre che conosce e vuole darci ciò che è buono per noi.
Modello di ogni preghiera è il Padre Nostro nel quale Gesù ci insegna a chiedere “Sia fatta la Tua volontà”; testimonianza della preghiera nella prova è la preghiera di Gesù al Getsemani: «Passi da me questo calice, ma sia fatta la Tua e non la mia volontà».
Essendo dialogo, la preghiera ci mette in comunione con Dio, ci illumina, ci fa comprendere ciò che Dio vuole da noi. Ecco l’esigenza del pregare sempre: la preghiera non serve a convincere Dio a darci ciò che vogliamo, ma a comprendere quale progetto d’amore Dio ha per noi e ad avere la forza per realizzarlo anche quando passa per la “croce”. Nella preghiera, infatti, facciamo l’esperienza dell’amore di Dio a condizione che la nostra preghiera sia libera dalla schiavitù delle formule, dei luoghi e dei tempi e non sia fatta per abitudine. Le formule che i santi e la Chiesa ci hanno consegnato, i luoghi e i tempi particolarmente consacrati al dialogo con Dio, sono tutte cose buone nella misura in cui non spengono, ma ravvivano e “incanalano”, la spontaneità del cuore che si affida e confida al Padre.
Concludo con una preghiera di S. Agostino: «Giunga a te la mia preghiera che guizza come saetta dal desiderio che nutro per i tuoi beni eterni. Io la innalzo al tuo orecchio: aiutala, affinché ti raggiunga e non venga meno a metà della sua corsa, né ricada a terra o vada perduta. Anche se per ora non mi vedo arrivare i beni che chiedo, sono tranquillo, perché so che verranno più tardi»
Fra Marco.