«Fratelli, sono lieto nelle sofferenze che sopporto per voi e do compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa.» (Col 1,24-28)
«In quel tempo, mentre erano in cammino, Gesù entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò.» (Lc 10,38-42)
Domenica scorsa Gesù, rispondendo al dottore della legge che gli chiedeva: «Chi è il mio prossimo?», invitava lui e noi a farci prossimi dei fratelli nel bisogno. Questa domenica va oltre: ci chiede di farci “suoi prossimi”, di accoglierlo nella nostra vita.
Già dalla prima lettura, infatti, Dio si manifesta come un Dio che chiede all’uomo di accoglierlo “nella sua tenda”. Abramo è sollecito nell’ospitare questi tre personaggi misteriosi che capitano nel suo accampamento “nell’ora più calda del giorno”. Mette in gioco il suo tempo, le sue energie, i suoi averi … E l’ospitalità è “feconda”: questi tre personaggi annunciano ad Abramo la nascita del “figlio della promessa”.
Nel Vangelo, Gesù, in cammino verso Gerusalemme per donare la vita per noi, viene ospitato da Marta. Tradizionalmente si è visto in Marta e Maria due icone antitetiche, l’azione e la contemplazione, delle quali sarebbe da preferire la contemplazione (la parte migliore). Vorrei sottolineare, però, che l’evangelista afferma chiaramente che è Marta ad ospitare Gesù. È lei che ha l’iniziativa. Cade, però, nell’errore che i contemporanei di Gesù commettevano nel loro rapporto con Dio: comincia a fare tante cose per Gesù, mettendo in secondo piano il rapporto con Lui.
Maria, al contrario, si fa totale ricettività: ai piedi del Signore, in atteggiamento da discepola, ascolta la Sua parola.
L’atteggiamento inizialmente ospitale di Marta, cadendo nell’errore di lasciare che “le cose da fare” offuschino lo stare con con Gesù, fa sì che, a lungo andare, Marta cominci ad accampare “pretese” e a far valere diritti: «Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». Marta cade nell’errore di dimenticare la sola cosa di cui c’è bisogno: il rapporto con Gesù. Tutto il resto ha valore ed è importante a partire da questo rapporto. Mettere, come Maria, Gesù e l’ascolto della Sua parola al centro della nostra vita è fondamentale; ma l’ascolto non può che sfociare nell’obbedienza fattiva se non vuole rimanere sterile.
Marta a Maria, allora, non devono essere separate, ma unite in un unico modello che a partire dall’accoglienza di Gesù, dall’ascolto della Sua volontà, si metta in movimento per realizzare ciò che Lui vuole.
In questa linea è pure la seconda lettura: S. Paolo sta parlando delle sue fatiche apostoliche che tante sofferenze gli hanno procurato e che non sempre hanno trovato immediata e facile accoglienza. È consapevole di compiere la volontà di Dio anche quando non vede i frutti delle sue fatiche, anche quando le cose non vanno come si aspetterebbe. Mettendo al centro della sua vita Gesù, vuole compiere solo la Sua volontà. È in quest’ottica che anche noi, nelle nostre sofferenze, nelle nostre malattie che ci fanno sperimentare i nostri limiti, nelle nostre incapacità, possiamo ancora accogliere Gesù, compiere la Sua volontà.
Permettetemi, infine, di menzionare una ricaduta nel quotidiano di questa Parola: può capitare anche nella nostra vita familiare di trascurare “la cosa più importante”, di perdere “la parte migliore”. Quante volte nelle nostre relazioni con i nostri cari (penso in particolare ai genitori nei confronti dei figli) cadiamo nell’errore di fare tante cose per loro (tante ore di lavoro, magari anche un secondo lavoro), ma di trascurare il rapporto con loro?
Accogliamo la Parola di Dio nella nostra Vita, mettiamo Lui e la Sua volontà al centro del nostro essere e del nostro agire. Lasciamo che sia Lui a dirci cosa fare e come farlo: vedremo meraviglie nella nostra vita.
Fra Marco