Mons. Angelo Amato, SDB
[…] L’odierna liturgia della Parola dipinge bene il ritratto spirituale di Chiara, ragazza dal cuore cristallino come acqua di sorgente, che trovava rifugio e consolazione in Dio: «Ho detto al Signore: “Il mio Signore sei tu, solo in te è il mio bene”. Il Signore è mia parte di eredità e mio calice: nelle tue mani è la mia vita. Io pongo sempre davanti a me il Signore, sta alla mia destra, non potrò vacillare. Per questo gioisce il mio cuore ed esulta la mia anima; anche il mio corpo riposa al sicuro, perché non abbandonerai la mia vita negli inferi» (Sal 16,2-1.5.8-10).
Chiara vedeva Dio e lo mostrava su questa terra, mediante la carità che ella aveva verso il prossimo: «Carissimi –ammonisce san Giovanni, l’evangelista della carità –, amiamoci gli uni gli altri, perché l’amore è da Dio […]. Nessuno ha mai visto Dio; se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e l’amore di lui è perfetto in noi» (1Gv 4,7.12). Chiara ha vissuto alla lettera la parola che Gesù ci ha rivolto nel vangelo odierno: «Rimanete nel mio amore […]. Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena» (Gv 15,9.11).
I giorni dell’esistenza terrena di Chiara furono giorni di carità donata a piene mani. La vita, che umanamente fu una dolorosissima salita al Calvario, per la sua grande carità divenne una luminosa trasfigurazione taborica. Ella cambiò il dolore in gioia, le tenebre in luce, dando significato e sapore anche allo strazio del suo corpo debole. Nella malattia, ella si rivelò donna forte e sapiente: «Voi siete il sale della terra e la luce del mondo» (Mt 5,13.14).
[…] L’abito nuziale, col quale Chiara andò incontro al Signore Gesù, era impreziosito dai sette diamanti della spiritualità cristiana e focolarina: Dio Amore; fare la volontà di Dio; Parola di vita vissuta; amore verso il prossimo; amore reciproco che realizza l’unità; presenza di Gesù nell’unità. Ma c’è un settimo diamante, il più prezioso, che brilla più degli altri, ed è l’amore a Gesù Crocifisso e Abbandonato. Questo – afferma Chiara Lubich, la fondatrice del Movimento dei Focolari – è il cardine principe, che riassume la spiritualità focolarina e che la nostra Beata ha interpretato al meglio.
L’amore a Gesù Abbandonato le infuse quell’energia spirituale, quella grazia capace di sopportare ogni avversità. Colpita a 16 anni da osteosarcoma, accetta la croce con dolore, ma con serena fortezza: «Non ho più le gambe e mi piaceva tanto andare in bicicletta, ma il Signore mi ha dato le ali».
Soffriva, ma l’anima cantava. Rifiuta la morfina perché – diceva – «mi toglie lucidità e io posso offrire a Gesù soltanto il mio dolore». Alla fine di dicembre del 1989, quando la malattia la stava divorando, riceve da Chiara Lubich la Parola di Vita: «Chi rimane in me ed io in lui, questi porta molto frutto» (Gv 15,5). Il 26 luglio dello stesso anno, la Lubich le dà un nome nuovo, “Luce”. Nome indovinatissimo perché Chiara era un’esplosione di luce divina, che sorprendeva tutti, giovani e adulti. Diceva spesso: «Gesù è da amare e basta». E fin da piccola, fu generosissima nel corrispondere all’ideale dell’amore di Dio e del prossimo.
Le manifestazioni di questa carità sono molteplici. Suor Bonaria racconta che Chiara durante le elementari dava la sua merendina a una compagna povera. Quando la piccola lo disse alla mamma, questa aggiungeva ogni giorno due merendine. Anche questa volta, Chiara continuò a distribuirle ai bambini poveri, perché in essi vedeva Gesù. […] Ad appena undici anni, si propone di «amare chi mi sta antipatico». Quando invitava qualcuno a pranzo diceva alla mamma di mettere la tovaglia più bella, «perché oggi Gesù viene a trovarci». […]
Un giorno un’amica domanda a Chiara: «Con gli amici al bar, ti capita di parlare di Gesù, cerchi di far passare qualcosa di Dio?». «No, non parlo di Dio». «Ma come, ti fai sfuggire le occasioni?». E lei: «Non conta tanto parlare di Dio. Io lo devo dare».
Con i suoi atti di carità Chiara mostrava e dava Dio. […] A Gianfranco Piccardo, volontario in partenza per scavare trenta pozzi d’acqua potabile in Benin, consegna i suoi risparmi, un milione e trecentomila lire, regalo per il suo ultimo compleanno, dicendo: «A me non servono, io ho tutto». Il giorno di san Valentino dell’anno 1990, Chiara, ormai stabilmente a letto, desiderò che la mamma e il papà quella sera uscissero a cena. […] Prima che uscissero fece queste raccomandazioni: «Guardatevi negli occhi e non tornate a casa prima delle 24». Poco prima aveva detto alla mamma: «Ricordati, mamma, che prima di me c’era papà». Chiara stava allenando i genitori a rimanere soli, senza di lei.
Tutti coloro che la visitavano credevano di portarle affetto e consolazione, ma in realtà erano loro a ricevere conforto e incoraggiamento. Durante la malattia, donava Gesù, non facendo prediche, ma diffondendo gioia e speranza di vita eterna. Il suo apostolato era unire armonicamente questa valle di lacrime con la Gerusalemme celeste. […] L’incontro con Chiara – arriva a dire un teste – dava «la sensazione di incontrare Dio».
Questa ragazza, all’apparenza fragile, in realtà era una donna forte. Anche sul letto di morte fece un ultimo dono, quello delle cornee ancora trapiantabili, perché non intaccate dal male. Furono espiantate e due giovani oggi vedono grazie a lei.
[…] Nel cuore di Chiara era racchiuso un amore grande come l’oceano. Anche da ammalata diceva: «Ora non ho più niente di sano, ma ho ancora il cuore e con quello posso sempre amare». […]
Chiara, come Mosé, era ormai alla fine del suo santo viaggio, era giunta in cima alla vetta del monte santo, a tu per tu con Dio Trinità. Di lì irradiava luce e gioia, riconsegnando al suo prossimo sia le tavole dei comandamenti, come dieci divine parole di amore, sia le beatitudini di Gesù, per orientare la vita terrena verso il sole di Dio.
Innaturale, eccezionale, incredibile: sono questi gli aggettivi usati dai medici curanti per descrivere la serenità e la fortezza di Chiara di fronte alla malattia mortale. È vero. Il suo atteggiamento era innaturale, perché completamente soprannaturale, frutto di grazia divina, di fede infinita e di eroismo virtuoso. Lei parlava dell’abito di sposa per i suoi funerali, come farebbe una ragazza che si prepara per il matrimonio. Diceva: «io non piango, perché sono felice». E alla mamma: «quando mi vorrai cercare, guarda in cielo, mi troverai in una stellina».
Chiara Lubich, spiegando il nome Luce che aveva dato a Chiara, scrive che, guardando una sua foto, la giovane «non aveva gli occhi della semplice gioia, ma qualcosa di più, direi la luce dello Spirito».
Di fronte a questa giovane, la Chiesa ringrazia Dio Trinità per la sua vita di carità e di bontà. Chiara Badano, ragazza moderna, sportiva, positiva, ci trasmette un messaggio di ottimismo e di speranza. Anche oggi la breve stagione della gioventù può essere vissuta nella santità. Anche oggi ci sono giovani virtuosi, che in famiglia, a scuola, in società non sprecano la loro vita.
La Beata Chiara Badano è una missionaria di Gesù, un’apostola del Vangelo come buona notizia a un mondo ricco di benessere, ma spesso malato di tristezza e di infelicità. Ella ci invita a ritrovare la freschezza e l’entusiasmo della fede. L’invito è rivolto a tutti: ai giovani anzitutto, ma anche agli adulti, ai consacrati, ai sacerdoti. A tutti è data la grazia sufficiente per diventare santi. Rispondiamo con gioia a questo invito di santità e ringraziamo il Santo Padre Benedetto XVI per il dono della Beatificazione della nostra Chiara Luce. Si tratta di un segno concreto della fiducia e della stima che il Papa ha nei giovani, nei quali vede il volto giovane e santo della Chiesa. Amen.
Preghiamo.
Padre di immensa bontà, che per i meriti del tuo Figlio e il dono dello Spirito hai reso ardente di amore la Beata Chiara Badano, trasforma profondamente il nostro animo affinché anche noi, sul suo esempio, riusciamo a compiere sempre con serena fiducia la tua santa volontà. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli. R. Amen.