«Cristo Gesù è immagine del Dio invisibile, primogenito di tutta la creazione, perché in lui furono create tutte le cose nei cieli e sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili» (Col 1,15-20)
«… “Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?”. Gesù gli disse: “Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?”. Costui rispose: “Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso”. Gli disse: “Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai”» (Lc 10,25-37)
In questa XV domenica TO la Parola ci presenta il comandamento centrale della legge d’Israele: l’amore di Dio e del prossimo. Il comandamento enunciato dal dottore della legge, infatti, è desunto dallo Shemà, professione di fede contenuta nel Deuteronomio (6,4 ss), e dal “Codice di santità” contenuto nel Levitico (capp. 17-26; i particolare l’amore del prossimo si trova in Lv 19,18).
Già in questi due testi è specificato che dall’osservanza dei comandamenti deriva la Vita, quella vita piena che il Signore ha pensato per il suo popolo. È per questo, infatti, che il Signore dà i comandamenti al suo popolo: perché sappia come comportarsi e possa godere di una vita bella e piena di senso.
Col passare del tempo, però Israele assolutizza sempre più la legge a scapito della relazione vitale con Dio che essa doveva custodire. Comincia ad elaborare comandi su comandi che perdono il loro originario significato (indicare come comportarsi per rimanere nell’amicizia di Dio). La fede d’Israele diventa sempre più una “fede speculativa” in cui è impossibile per la gente comune osservare tutti i comandi. In questa situazione di confusione ecco la domanda del dottore della legge: «Che cosa devo fare …?». Gesù risponde rimandandolo a ciò che lui già conosce e invitandolo a metterlo in pratica.
«E chi è il mio prossimo?» ecco il tentativo di scappare dalla pratica con la “speculazione”: lo straniero, il peccatore, l’eretico … sono il mio prossimo? Non devo forse starne lontano?
Nella parabola raccontata da Gesù, l’uomo incappato nei briganti scende “da Gerusalemme a Gerico”; ad una lettura spirituale, questo itinerario potrebbe indicare un allontanamento dalla santità verso il peccato. Potremmo allora identificare quest’uomo con “il peccatore” che, proprio per la sua condizione di peccato, è “mezzo morto”. Di quest’uomo solo un samaritano, un uomo considerato dai pii giudei come eretico e scismatico, ha compassione. Una compassione che lo porta ad agire e a spendere del suo per aiutare il bisognoso. Solo la compassione, la misericordia, che muove all’azione, infatti, è autentica.
«Chi … ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?» Adesso è il Maestro ad interrogare il dottore della legge, ma la prospettiva è ribaltata: il prossimo da individuare non è colui che è caduto nelle mani dei briganti, ma colui che è stato capace di farsi a lui prossimo.
La pagina del vangelo si chiude ancora con l’invito alla “pratica”, al fare ciò che sappiamo essere bene perché possiamo “ereditare la vita eterna”, quella Vita Piena che solo la relazione di amicizia con Dio può donarci.
Fr. Marco