«Fratelli, Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amato, da morti che eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere con Cristo: per grazia siete salvati.» (Ef 2,4-10)
« … Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna.» (Gv 3,14-21)
«Rallegrati Gerusalemme …» Così comincia l’antifona d’ingresso di questa domenica che, proprio per questo, è detta Laetare. La Parola di oggi, poi, ci indica per che cosa rallegrarci: Dio ci ama!
Fin dalla prima lettura, infatti ascoltiamo che Il Signore … aveva compassione del suo popolo e della sua dimora; Dio, che è Amore (Cfr. 1Gv 4,8), ama il suo popolo in maniera “viscerale”, tanto da esserne “geloso”: dopo averlo ammonito senza successo, si allontana per un po’ dal popolo per fargli sperimentare quanto ha bisogno di Lui.
Nella seconda lettura, poi, S. Paolo ci ricorda il motivo della nostra salvezza: per il grande amore con il quale ci ha amato. Un amore che si manifesta pienamente in Cristo. È grazie alla sua passione, morte e resurrezione, infatti, che siamo passati dalla morte alla vita, dalla schiavitù del peccato alla libertà dei figli di Dio: per grazia siete stati salvati. Non sono le nostre opere ad acquistarci la salvezza, ma è la salvezza, l’Amore di Dio “effuso nei nostri cuori” (Cfr. Rm 5,5), che ci permette di compiere le opere dei figli di Dio.
Nel Vangelo, in fine, la proclamazione dell’amore di Dio per l’umanità raggiunge il suo culmine: “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito”. Dio dà tutto se stesso per la nostra salvezza, si compromette con noi, si consegna nelle nostre mani fino ad essere crocifisso, per mostrarci la misura del Suo Amore.
La letizia di oggi è, quindi, motivata dall’amore gratuito di Dio per noi, dal fatto che siamo salvati per grazia. Tale salvezza gratuita il Signore vuole donarla a tutti; ma è, appunto, un dono e come tale comporta la libera accettazione da parte dei destinatari. Per questo oggi Gesù paragona il suo mistero pasquale all’innalzamento del serpente nel deserto (Cfr. Nm 21,8s). Come Israele nel deserto è chiamato a guardare alla “conseguenza del suo peccato” per essere salvato dalla morte (i serpenti vengono mandati proprio per rendere visibile il “veleno” della mormorazione), così anche il popolo della Nuova Alleanza è chiamato volgere lo sguardo “a colui che hanno trafitto” per ottenere la liberazione dal peccato.
Il dono gratuito dell’Amore di Dio ci chiama quindi a responsabilità, ci chiede di accoglierlo e “rispondervi”. Si può rispondere a tale Amore a vari livelli: S. Bonaventura ci invita a “riamare” un così grande Amante («Sic nos amantem qui non redamaret»); l’evangelista Giovanni ci indica “come” riamare: «Se Dio ci ha amati anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri» (1Gv 4,11); ma c’è una risposta fondamentale a tale amore senza la quale non sono possibili le altre due: crederci! Il Vangelo di oggi afferma: « chiunque crede in lui» non va perduto, ma ha la vita eterna; nella sua prima lettera S. Giovanni dichiara: «Noi abbiamo creduto all’amore che Dio ha per noi!» (1Gv 4,16).
Guardare a Cristo, accogliere il Suo Amore, significa, quindi, in prima istanza, credere a questo amore, avere fiducia in Lui anche quando non “capiamo” e non percepiamo il Suo amore. Una fiducia che non può essere solo esteriore, “verbale” (“non chi dice Signore, Signore …”), ma che deve tradursi in gesti concreti, in una vita che, sull’esempio del Maestro, sa farsi dono.
Oggi Gesù ci ha assicurato che «chiunque crede in lui» non andrà perduto e avrà la Vita eterna. A questo punto, però, è il caso di domandarci: “Io credo in Lui?”. Non rispondiamo affrettatamente, ma guardiamo alla nostra vita, a ciò in cui confidiamo, a ciò di cui siamo convinti di non potere fare a meno … “Io credo in Lui?”
Fra Marco