«Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce.» (Fil 2,6-11)
«E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.» (Gv 3,13-17)
La festa della esaltazione della Croce ci mette dinanzi all’amore salvifico di Dio. Egli ha mandato il suo Figlio perché il mondo si salvi. A noi chiede solo di accogliere questa salvezza compiendo con Lui il cammino salvifico che, passando dalla croce, ci libera dalla schiavitù del peccato e ci rende figli di Dio.
La Croce, infatti, non è un optional, un incidente della vita Cristiana, qualcosa che può pure mancare: lo sappiamo bene, Gesù ha detto «Chi vuol venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua Croce e mi segua». Come fin dall’inizio del suo pontificato ci ha ricordato Papa Francesco: «Quando camminiamo senza la Croce, quando edifichiamo senza la Croce e quando confessiamo un Cristo senza Croce, non siamo discepoli del Signore: siamo mondani, siamo Vescovi, Preti, Cardinali, Papi, ma non discepoli del Signore.»
La liturgia della Parola si apre con l’affermazione che il popolo, liberato dalla schiavitù d’Egitto e chiamato a percorrere il cammino per la Terra promessa, non sopporta il viaggio e mormora contro Mosè e contro Dio. È quello che spesso facciamo anche noi: mormoriamo, ci comportiamo da ingrati, chiediamo sempre di più.
Questa mormorazione avvelena il rapporto d’amore tra il popolo e Dio; quel rapporto d’amore e di reciproca appartenenza che rendeva quella “gente raccogliticcia” che era uscita dall’Egitto, il Popolo di Dio. Per questa ragione, con i serpenti, il Signore rende visibile l’effetto mortifero della mormorazione. Il popolo si pente del suo peccato e torna a ricorrere al Signore per avere vita.
Fatti un serpente e mettilo sopra un’asta: il Signore invita il popolo a contemplare la conseguenza del proprio peccato dalla quale il Suo Amore lo ha liberato. Il serpente di bronzo diventa quindi memoriale della morte conseguenza del proprio peccato e della salvezza che viene dal Signore.
Anche noi, nelle fatiche di ogni giorno, siamo invitati a contemplare la conseguenza del nostro peccato che ci da anche la misura dell’Amore di Dio per noi: il Signore Gesù Cristo crocifisso per i nostri peccati e risorto come primizia di molti fratelli. Da questa contemplazione siamo invitati ad accenderci d’amore per Lui per portare con Lui la nostra croce quotidiana.
La croce, infatti, non è una sofferenza che subiamo nostro malgrado, con rassegnazione, perché non possiamo farne a meno; la croce è un’offerta d’amore, una sofferenza accolta per amore di Cristo e dei fratelli, un mettere da parte “noi stessi” per Amore.
La croce, quindi, non va “sopportata”, subita; Tanto meno va evitata. La Croce va abbracciata per amore e con amore. È così che la portava padre Pio di cui oggi cominciamo la novena di preparazione alla festa; egli così scriveva: «Si, io amo la Croce, la Croce sola, l’amo perché la vedo sempre alle spalle di Gesù. Ormai Cristo vede benissimo che tutta la mia vita, tutto il mio cuore è votato tutto a Lui e alle sue pene»
Questo amore non toglie che si sperimenti tutto il peso della Croce. P. Pio però ci rivela un segreto per non cadere: «Conosco per propria esperienza che il rimedio per non cadere è l’appoggiarsi alla croce di Cristo, con la confidenza in Lui solo, che per la nostra salvezza volle esservi appeso»
... perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Cosa significa credere in Lui? Fidarsi di Lui, obbedire a Lui, seguire le Sue orme. Quelle orme che puntano con decisione verso il Calvario per offrire la vita per amore. Quelle orme che, dopo il Calvario, giungono alla gloria eterna della resurrezione.
La Croce, infatti, lo ribadisco è la sorgente della nostra salvezza: è attraverso la Croce che l’Amore misericordioso di Dio giunge al suo culmine e salva tutti gli uomini. È con la Croce, quindi, sull’esempio di Padre Pio e di tutti i santi, che siamo chiamati a seguire Gesù: siamo chiamati a fare della nostra vita un’offerta d’amore, rinnegando noi stessi, il nostro orgoglio, la nostra vanagloria, per Amore di Dio e dei fratelli.
Fra Marco