«Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo: tutti infatti partecipiamo all’unico pane.» (1Cor 10, 16-17)
«In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.» (Gv 6, 51-58)
In questa solennità del Corpo e Sangue di Cristo, la Parola ci annuncia la misericordia del Signore che nella nostra miseria non ci abbandona e si fa nutrimento per noi.
Il brano del Deuteronomio, infatti, ci offre una rilettura dell’Esodo: il Signore, che ha liberato Israele dall’Egitto, gli chiede compiere un lungo e faticoso cammino attraverso il deserto. In questo cammino, il popolo sperimenterà la propria debolezza, la propria incapacità a salvarsi la vita. Potrà contare solo sul Signore e sperimenterà che l’unica cosa cui deve appoggiarsi, ciò di cui deve nutrirsi, è “quanto esce dalla bocca del Signore”. Ciò significa, prima di tutto, obbedienza alla Sua Parola, ma anche accoglienza del “pane dal cielo”. Nell’Esodo questo “pane dal cielo” era la manna, un cibo prodigioso che permise a Israele di rimanere in vita nel deserto; questo cibo prodigioso, capace di permettere la sopravvivenza, era tuttavia incapace di dare la Vita. Nel Vangelo Gesù ci mostra il vero pane dal cielo: Lui stesso, Parola definitiva del Padre (il Verbo di Dio), che dona il Suo Corpo e il Suo Sangue come nutrimento: il solo cibo che da la Vita Eterna.
Anche noi oggi ci ritroviamo nelle stesse condizioni del popolo nel deserto: il Signore con la Sua Pasqua ci ha liberati, il battesimo ci ha inseriti nella Passione e Resurrezione di Cristo, ma la libertà che il Signore ci ha donato chiede a noi un lungo e faticoso cammino per giungere alla Terra Promessa. Anche noi, nel deserto della vita, sperimentiamo l’umiliazione della nostra debolezza: sperimentiamo di essere incapaci, con le sole nostre forze, di camminare nella via del Vangelo. È proprio a partire da questa consapevolezza che scopriamo l’immenso valore che ha per noi il Corpo e Sangue di Cristo che si fa pane del cammino, “pane dei pellegrini” dice la sequenza: è mangiando questo Pane, che possiamo trovare la forza per obbedire alla Parola e per giungere sempre più vicini a quella “terra promessa” che è la piena conformità a Cristo. Una conformità già iniziata nel battesimo, ma che va sempre rinnovata, perfezionata, nutrendoci di Lui, facendo Comunione con Lui, per divenire sempre più pienamente membra del Suo Corpo che è la Chiesa.
Prima di concludere, vorrei soffermarmi brevemente sulle Parole di Gesù nel Vangelo: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna”. Il Signore usa il presente, non il futuro. La Vita Eterna non è, allora, qualcosa che verrà, ma una realtà già presente in noi. Vita eterna significa non solo vita “senza fine”, ma anche una vita “qualitativamente” diversa: una vita piena, bella; una vita che vale la pena di essere vissuta e non solo un “infinito trascinarsi di giorni”. La vita eterna, quindi, è già presente in chi si nutre del Corpo e Sangue del Signore; è, però, una presenza, “imperfetta”, non pienamente realizzata (quel “già e non ancora” che caratterizza il tempo della Chiesa); sarà pienamente realizzata alla resurrezione della carne. Il dono della liberazione che ci è stato fatto nel battesimo, questa vita eterna già presente in noi che siamo morti e risorti con Cristo, rimanda alla nostra responsabilità: accogliere e custodire questo dono obbedendo sempre più perfettamente al Vangelo con la forza che traiamo dall’Eucarestia.
Non separiamoci mai, allora, da questo “pane dei pellegrini”; soprattutto quando sperimentiamo la nostra debolezza, quando ci sentiamo oppressi dalla nostra miseria, ricorriamo a questo farmaco di immortalità.
Fra Marco