«È necessario infatti che egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi. L’ultimo nemico a essere annientato sarà la morte.» (1Cor 15, 20-26.28)
«Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi.» (Mt 25, 31-46)
In questa solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’universo, ultima domenica dell’anno liturgico, la Parola ci apre uno scorcio di ciò che sarà alla fine del tempo, quando Gesù prenderà possesso in maniera definitiva del suo Regno ricapitolando tutto in se.
L’immagine che oggi domina le letture è quella del re-pastore. Nella prima lettura, infatti, Dio è presentato dal profeta Ezechiele come un pastore che raduna il suo gregge, lo passa in rassegna e conduce le sue pecore all’ovile. Ezechiele scrive contro i governanti del suo tempo che non si sono curarti del gregge loro affidato, ma hanno fatto solo il loro interesse. A loro profetizza un tempo in cui sarà Dio stesso a prendersi cura del suo popolo e a dare a ciascuno ciò che meritano le sue azioni.
Con la seconda lettura entra in campo l’immagine del Re più simile a quella che noi conosciamo. San Paolo utilizza un’immagine assai comprensibile al suo tempo: un figlio di Re che, dopo avere condotto una battaglia contro gli usurpatori del regno, lo riconsegna al Padre. Cristo è presentato, quindi, come colui che vince ogni opposizione al Regno dei Cieli.
La parabola del Vangelo, facendo una sintesi delle due figure (“... siederà sul trono della sua gloria … come il pastore”), ci mostra questo Re che, preso possesso del suo Regno riconosce “i suoi” distinguendoli da coloro che hanno scelto di vivere sotto un’altra signoria. Per essere riconosciuti come appartenenti al Regno, infatti, bisogna riconoscere con la nostra vita la Signoria di Cristo vivendo come lui ci ha insegnato con l’esempio e la Parola. Non basta dire “Signore, Signore”, bisogna, invece, mettere in pratica ciò che Lui ha comandato: l’amore di Dio autenticato dall’amore ai fratelli; soprattutto ai fratelli più piccoli, quelli che non contano nulla nel mondo e che non hanno da ricambiare.
Solo se saremo capaci di conformarci al Nostro Signore Gesù Cristo nell’amare gratuitamente i nostri fratelli, potremo essere riconosciuti come “Suoi” ed essere ammessi nel “regno preparato per noi”. Diversamente, se nella nostra vita non avremo concretamente ed esistenzialmente riconosciuto la signoria di Cristo, ma avremo servito altri padroni, primo fra tutti il nostro “io”, la sentenza finale non potrà che prendere atto di questo stato di cose: saremo esclusi dal Regno, che in sostanza non abbiamo mai riconosciuto, e subiremo la sorte dei ribelli (“il diavolo e io suoi angeli”).
Accogliamo l’invito di questa Parola e, contemplando le realtà ultime, cominciamo fin da ora a vivere nella Signoria di Cristo per potere, in quell’ultimo giorno, essere ammessi alla pienezza della gioia.
Fra Marco