«… se con la tua bocca proclamerai: «Gesù è il Signore!», e con il tuo cuore crederai che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo.» (Rm 10,8-13)
“Gesù si allontanò … nel deserto, per quaranta giorni, tentato dal diavolo” (Lc 4,1-13)
Con questa prima domenica di quaresima inizia il nostro cammino di conversione: con Gesù anche noi siamo condotti nel deserto “per essere tentati”, per scoprire cosa c’è nel nostro cuore, ma anche per “esercitarci”. Come nello sforzo atletico, infatti, siamo chiamati a metterci alla prova, o meglio a lasciarci mettere alla prova, per potere aumentare la nostra capacità di risposta alle sollecitazioni, per potere imparare a scegliere sempre la Volontà di Dio.
Per potere fare questo, però, è importate partire dalla consapevolezza della nostra identità: non a caso la Parola di Dio di oggi si apre con la professione di fede che il popolo eletto è invitato a fare nella liturgia primaverile. Bisogna che riconosciamo la nostra profonda identità di “erranti accolti”. Uomini e donne sempre alla ricerca di un “di più” che solo il Signore ci può donare. Comprendendo questa nostra profonda identità di “erranti”, di nomadi, comprenderemo anche la relazione fondamentale della nostra vita: il Signore ascolta la nostra voce e ci dona una terra, ci dona stabilità.
“Non di solo pane vivrà l’uomo”: ecco il senso del donare le primizie. Ciò che mi soddisfa e mi dona stabilità, non è il mio pane, ciò che posso procurarmi con le mie mani, ma Dio.
Quella dell’autonomia, dell’autarchia, del “self made man”, è la prima e la più antica delle tentazioni: “non hai bisogno di nessuno, soddisfa da solo la tua fame, dì che queste pietre diventino pane …”. Gesù risponde mettendo in chiaro la dipendenza: ciò di cui l’uomo ha bisogno non può darselo da solo, ma deve riceverlo dal Padre. L’uomo non ha bisogno solo del pane, ma della “Parola”, della relazione con il Padre!
Nella seconda tentazione presentata da Luca, sembra che sia proprio la relazione ad essere presa in considerazione: “… se mi adorerai”. Si tratta però di una relazione traviata, falsa fin dall’origine: si rende culto a “qualcosa/qualcuno” per ottenere il potere. Alla fine, centro del mio amore è sempre il mio Io che pretende di avere potere su tutte le creature. È la tentazione della magia che poco ha a che fare con la fede. Facciamo attenzione a questa tentazione, perché subdolamente potrebbe nascondersi anche in un atteggiamento che appare religioso.
L’ultima tentazione è quella del prodigioso, del mettere alla prova Dio: “se mi ama …”. Questa tentazione nasce dal dubbio: Dio è veramente capace di salvarmi? Veramente mi ama? Un dubbio profondo che nessun miracolo potrà veramente fugare: dopo un evento prodigioso, se ne chiederà un altro ed un altro ancora … Il nocciolo del problema è ancora una volta la relazione: si compie l’errore di pensare di essere il centro della relazione. Il nostro Io si erge ancora a dio: sarò io allora a decidere ciò che è giusto che avvenga e come deve avvenire … siamo ancora lontani dal“sia fatta la tua volontà” che preghiamo quotidianamente.
Non a caso l’evangelista Luca pone l’ultima tentazione a Gerusalemme: di questo “Se tu sei Figlio di Dio, gettati” si sentirà l’eco nel racconto della Passione la domenica delle palme: “Salvi se stesso, se è il Cristo di Dio, l’eletto” (Lc 23,35). È la tentazione di fuggire dalla volontà di Dio, la tentazione di fuggire alla Croce. Sappiamo, però, che è una strada obbligata per giungere alla gloria della resurrezione, una strada sicura perché ci è stata aperta dal nostro Maestro e Signore.
Fra Marco.