«Essi sono coloro che sono passati attraverso la grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti rendendole candide col sangue dell’Agnello … Non avranno più fame né avranno più sete, non li colpirà il sole né arsura alcuna, perché l’Agnello, che sta in mezzo al trono, sarà il loro pastore e li guiderà alle fonti delle acque della vita. E Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi» (Ap 7, 9.14b-17).
«Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono … » (Gv 10, 27-30).
Questa quarta domenica di pasqua il Signore si presenta come il “buon/bello” Pastore. Nei versetti precedenti (Gv 10 12-13) Gesù fa una chiara distinzione tra se stesso, il Pastore che conosce e ama le sue pecore singolarmente ed è disposto a dare la vita per esse, e i mercenari che vogliono solo trarre un profitto per loro stessi e scappano appena vedono arrivare il lupo.
«Io le conosco». Quanta consolazione in questo verbo: il Signore della vita ci conosce, singolarmente, uno per uno, e ci ama. Ci garantisce la vita eterna, la nostra vita non sarà perduta. Tutto ciò, però, a condizione di essere Sue pecore, cioè di riconoscere e seguire la Sua voce.
Permettetemi di spendere qualche parola sulla vita eterna che il Signore quest’oggi ci promette. La vita eterna non comincia alla fine di questa vita terrena; non è un’utopia che ci fa “stringere i denti” nelle tribolazioni del mondo in vista di una felicità futura di cui non abbiamo altra certezza che la Fede. Una vita eterna che fosse solo questo, può a ragione essere definita “oppio dei popoli”.
La vita eterna comincia qui, comincia con il nostro battesimo, nel momento in cui veniamo innestati in Cristo, nella sua morte e resurrezione. Qui, in questa vita terrena cominciamo a sperimentare la Vita eterna come una vita piena di senso. Una vita che “non è perduta”, cioè che non è sprecata.
Per sperimentare questa vita, però, siamo chiamati a seguire il nostro Pastore nella sua vita di donazione d’amore. Perché la nostra vita non sia perduta, sprecata, siamo chiamati a spenderla bene! A donarla per amore; allora sperimenteremo quella pienezza di senso che nessun altro potrà darci, sperimenteremo che stiamo vivendo veramente.
Nella vita non è importante il numero di attimi o anni che si susseguono, ma l’intensità con la quale questi attimi sono vissuti. Può darsi che anche noi passeremo per le tribolazioni, ma esse non saranno subite passivamente, stringendo i denti, ma accolte e valorizzate come donazione d’amore. È in questo stesso discorso che Gesù chiarisce: «nessuno mi toglie la vita, ma la offro da me stesso» (cfr. Gv 10,18). Certo, in tutto ciò non può mancare il volgere lo sguardo in alto, alle cose di lassù dove Cristo è assiso alla destra del Padre; è necessario sapere che la nostra vita è destinata ad un’ulteriorità che ci permette di dare il giusto valore alle tribolazioni presenti.
Oggi la Chiesa intera prega per le vocazioni di speciale consacrazione. Permettetemi di concludere con l’appello ad ascoltare la voce del Buon Pastore: ascoltiamo la Sua voce, accogliamo il suo progetto d’amore per ciascuno di noi, e la nostra vita non andrà perduta, ma andrà di pienezza in pienezza per l’eternità.
Fra Marco