«Dio ha disposto il corpo conferendo maggiore onore a ciò che non ne ha, perché nel corpo non vi sia divisione, ma anzi le varie membra abbiano cura le une delle altre. Quindi se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui.» (1Cor 12,12-30)
«In quel tempo, Gesù ritornò in Galilea con la potenza dello Spirito e la sua fama si diffuse in tutta la regione. […] Venne a Nàzaret, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaìa; aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto:”Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio” […] Allora cominciò a dire loro: “Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato”».(Lc 1,1-4; 4,14-21)
In questa III Domenica del TO le letture che la liturgia ci propone trattano della centralità della Parola di Dio nella vita di fede. Sia nella prima lettura che nel Vangelo, infatti, ci viene descritta una “liturgia della Parola” e la sua efficacia come manifestazione e attualizzazione del disegno di Dio; è questo che oggi vuole sottolineare il prologo del Vangelo di Luca.
Nella prima lettura lo scriba Esdra proclama il libro della Legge di Dio al “resto d’Israele” di ritorno dall’esilio. La reazione del popolo è un pianto di pentimento e di gioia: pentimento per il peccato che li ha allontanati dalla Terra che aveva loro donato il Signore; gioia e gratitudine perché la fedeltà del Signore li ha ricondotti in Patria e permette loro di ascoltare ancora quella Parola che li costituisce “popolo di Dio”. A questa reazione Esdra e Neemia esclamano: “Questo giorno è consacrato al Signore, vostro Dio; non fate lutto e non piangete!”
Nel Vangelo, Gesù entra di sabato nella Sinagoga e, dopo avere proclamato un brano tratto dal profeta Isaia, afferma: “Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato”. Con Gesù, infatti, è arrivato “l’oggi” della salvezza e si realizza pienamente ciò che i profeti avevano annunciato: ai poveri è portato il lieto annuncio, ai prigionieri la liberazione.
Soffermiamoci brevemente a riflettere su chi sono i poveri di cui ci parla Gesù e su quale lieto annuncio viene loro portato. Il contesto immediato in cui Isaia proclama queste parole ha a che fare con l’anno giubilare in cui venivano azzerati tutti i debiti e ciascun israelita rientrava in possesso di quella “porzione di terra promessa” che gli era stata assegnata. I poveri di cui parla, quindi, sono sicuramente anche “indigenti”. Ciò tuttavia non basta per descrivere i poveri di cui ci parla Gesù: si può essere “ricchi” anche possedendo poco, se a quel poco io attacco il cuore e faccio dipendere da esso la mia salvezza. I Poveri cui si rivolge Gesù, invece, sono coloro che sanno di non potere mai “bastare a se stessi” e tutto si aspettano dal Signore; coloro che sanno che, per quanti beni possano possedere, questi non potranno mai dare loro la Vita e per questo sono disponibili alla condivisione. È la condivisione, infatti, che ci costituisce veramente poveri secondo Dio: il prenderci cura gli uni degli altri come membra di uno stesso corpo nella consapevolezza di avere un Padre che si prende cura di noi.
È a costoro che viene portato “il lieto annuncio”: il Signore si prende cura di loro; è entrato nella storia per liberare coloro che vivono nella schiavitù del peccato, rimettere “i debiti” che ci allontanavano dalla Grazia di Dio e donarci l’eredità e la dignità di Figli di Dio. Con Gesù, infatti, “l’anno giubilare” raggiunge il suo senso pieno e più vero e si estende all’Oggi della Parola: l’oggi in cui la Parola ascoltata e creduta ci muove all’amore fiducioso in Dio e all’amore dei fratelli.
Prima di concludere, in quest’anno in cui celebriamo il Giubileo straordinario della Misericordia, vorrei sottolineare brevemente l’atteggiamento di pentimento/conversione manifestato dal popolo salvato nella prima lettura: il popolo piangeva, mentre ascoltava le parole della legge. La Misericordia del Signore, infatti, se da una parte non ci condanna per il nostro peccato (non è venuto a condannare, ma a salvare il mondo), dall’altra ci chiede il pentimento per il nostro peccato e ci dona la grazia di lasciarlo, di cambiare vita. Una mal intesa “misericordia” che ci lasciasse schiavi della nostra miseria (“f***i f***i, tanto Dio perdona tutti”) non sarebbe vera Misericordia che salva. In ogni incontro salvifico con i peccatori, Gesù dona il perdono e chiede di lasciare la via del peccato: «va e non peccare più».
Accogliendo, allora, la Misericordia del padre che viene a proclamare l’anno di grazia del Signore, anche noi, chiamati ad essere Misericordiosi come il Padre, prendiamoci cura gli uni degli altri soccorrendo i nostri fratelli e sorelle nella miseria come anche noi vogliamo essere soccorsi da loro. Non dimentichiamo che anche Ammonire i peccatori è un’opera di misericordia spirituale.
Fra Marco