« … Dio inviò, come salvatore per Israele, Gesù. Giovanni aveva preparato la sua venuta predicando un battesimo di conversione a tutto il popolo d’Israele.» (At 13,22-26)
«Per Elisabetta si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio. I vicini e i parenti udirono che il Signore aveva manifestato in lei la sua grande misericordia, e si rallegravano con lei. … “Giovanni è il suo nome”» (Lc 1, 57-66.80)
La liturgia della Parola della solennità della Natività di Giovanni Battista ci presenta la tematica della vocazione. Vocazione come chiamata alla vita; vocazione ad un ruolo particolare: la profezia, ma anche chiamata alla genitorialità. Zaccaria ed Elisabetta, infatti, quando ormai potrebbero avere perso le speranze, ricevono in dono il figlio che tanto a lungo hanno implorato (cfr. Lc 1,13). Il figlio è sempre un dono da implorare e accogliere con gratitudine, non un diritto da pretendere.
La prima lettura applica a Giovanni il secondo canto del servo di YHWH in cui si parla di una chiamata fin dal grembo materno. Il profeta è consapevole che il Signore da sempre ha un “progetto d’amore” salvifico per lui e per il suo popolo. Nell’ottica della fede, infatti, non si può parlare di “nascita casuale” o, peggio, di “incidente”. Il Padre ci ha pensati e voluti da sempre ed ha un progetto d’amore per ciascuno di noi, per la nostra piena realizzazione.
A questo progetto siamo chiamati a rispondere con fiducia e gratitudine (ben espressa nel salmo responsoriale: «Io ti rendo grazie: hai fatto di me una meraviglia stupenda.»). Una fiducia che deve restare salda anche quando sembra che tutto sia perduto, che tutto ciò che abbiamo fatto o possiamo fare non serva a nulla.
È il caso della coppia di cui si parla nel Vangelo: Zaccaria, anziano, ed Elisabetta, anziana e sterile. Forse pensavano che le loro preghiere non fossero state ascoltate, che la loro vita fosse destinata alla sterilità. Il Signore, però, non si è dimenticato di loro: attraverso di loro viene al mondo il precursore di cui il Maestro stesso dirà che è “il più grande tra i nati da donna” (Cfr. Mt 11,11) che non a caso riceve il nome di Giovanni: “il Signore fa grazia/soccorre”.
Anche noi siamo chiamati per un progetto d’amore, anche noi, come il Battista, siamo chiamati a preparare il mondo ad accogliere il Signore; ancora di più: siamo chiamati a rendere presente il Signore, cui siamo stati conformati nel Battesimo, perché il mondo accolga la Sua Signoria e si manifesti sempre più pienamente il Regno di Dio. Ciascuno di noi è chiamato a dare il suo particolarissimo contributo nella vocazione particolare che il Padre da sempre ha pensato per lui. Dall’identificare e realizzare la nostra particolare vocazione dipende il fallimento o il successo della nostra Vita.
Quella del cristiano è una chiamata impegnativa che ci obbliga ad andare “contro corrente”, a seguire una logica diversa da quella del mondo. Dinanzi a questa chiamata, anche noi come Geremia (I lettura della vigilia) ed Elisabetta sperimentiamo la nostra incapacità e sterilità; come il servo di YHWH possiamo essere tentati di vedere solo l’insuccesso (“Invano ho faticato …”), ma siamo invitati ad avere fiducia: il Signore realizzerà il suo progetto di salvezza; a condizione che noi diamo la nostra disponibilità, vedremo le meraviglie del Signore.
Fra Marco.