«Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, [in questi giorni che sono ultimi ndr] ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha stabilito erede di tutte le cose e mediante il quale ha fatto anche il mondo.» (Eb 1,1-6)
«Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. … Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio… E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; …» (Gv 1,1-18)
«O ammirabile altezza, o degnazione stupenda! O umiltà sublime! O sublimità umile, che il Signore dell’universo, Dio e Figlio di Dio … discese nel grembo della Vergine» (S. Francesco. Cfr FF 221; 144)
La Parola di Dio di questa solennità si apre con l’invito alla gioia: “Prorompete insieme in canti di gioia, rovine di Gerusalemme” e il motivo di questa gioia è espresso qualche verso più sopra: «Regna il tuo Dio».
Questo regno, però, si manifesta con un segno umile che sembra in contrasto con la liberazione che viene promessa. Lo stesso segno umile che nel Vangelo della notte viene dato ai pastori: “troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia”.
L’Eterno, entra nella storia; l’Onnipotente si fa piccolo e si consegna nelle nostre mani; il Dio fedele viene in mezzo a noi per realizzare ciò che ha promesso; la Misericordia di Dio si fa uomo per salvare l’umanità. Tutto ciò, però avviene in modo umile, quasi dimesso: il Signore non impone la sua presenza, ma viene a chiedere la nostra accoglienza. Un’accoglienza che troppo spesso gli rifiutiamo: “per loro non c’era posto nell’alloggio”!
Nella messa del giorno sentiamo le parole del prologo del Vangelo di Giovanni: “Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto”: il Figlio eterno del Padre, per mezzo del quale tutto è stato fatto e senza il quale nulla esiste (Cfr. Gv 1, 1-18) viene nel mondo, tra i suoi, ma sono pochi quelli che lo accolgono; solo i pastori, i piccoli e umili, sono capaci di accogliere la grandezza che si esprime nell’umiltà. Per loro l’umile segno del bimbo in una mangiatoia diventa il segno della Speranza che si realizza: il Signore non ha abbandonato il suo popolo e viene a liberarlo, viene a donarci la possibilità di vivere una vita piena di senso, bella ed aperta all’eternità. Viene a donare il potere di diventare figli di Dio a quanti lo accolgono.
Che significa, però, accogliere il Verbo che si fa carne? Significa riconoscerlo Signore della nostra vita non a parole e con la lingua, ma coi fatti e nella verità (Cfr 1Gv 3,18); significa accogliere la Sua grazia che ci raggiunge nei sacramenti; significa lasciare che la Sua Luce illumini la nostra vita perché, riconoscendo i nostri peccati, possiamo convertirci e camminare nelle Sue vie; significa rinnegare se stessi per fare posto a Dio nella nostra vita.
In un contesto di paura del futuro e incertezza, come quello presente, in cui sembra che vengano a mancare tutte le certezze (da quelle economiche a quelle morali), abbiamo quanto mai bisogno della Luce di Cristo che squarci le nostre tenebre, abbiamo quanto mai bisogno della Speranza che è rappresentata dal Bambino di Nazareth: il Signore vuole e può ancora intervenire nella nostra storia, ma ci chiede di fargli spazio nella nostra vita, di trovare il posto per Lui nel nostro cuore.
Solo se saremo capaci di fare questa “conversione” consistente nel ridimensionare il nostro Io per fare posto al Tu di Dio e dei fratelli, potremo scorgere i segni umili, ma non per questo meno potenti, della nostra salvezza e ravvivare la Speranza: il Signore è in mezzo a Noi e viene a Salvarci.
Auguri. Fra Marco.